Giù le mani dal nostro corpo

Due giorni fa è stato approvato l’emendamento proposto dal governo di Giorgia Meloni sull’introduzione di associazioni pro-life e antiabortiste all’interno dei consultori pubblici. Il testo di legge dice che al loro interno saranno introdotti “soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità” (Ansa). Ma chi, i pro-life? Che giocano sul senso di colpa delle donne per la loro scelta?
Ci hanno fatto credere per secoli che diventare madri sia l’aspirazione più alta a cui una donna possa puntare, ma oggi sappiamo che non è così. Il tema della maternità è molto delicato ed è per ogni donna anche molto soggettivo: per questo, non possiamo permettere che lo Stato decida sui nostri corpi e sulla nostra soggettività.
Questo, oltre ad essere un attacco aperto all’autodeterminazione della donna, cioè alla possibilità e al diritto di una donna di scegliere del proprio corpo, è soprattutto, a mio parere, una forma di violenza. Violenza, che attraverso questa legge trova spazio in un luogo dove le donne cercano e trovano aiuto, sostegno e protezione. Credo che quella di abortire sia una scelta che nessuna donna vorrebbe mai fare nella propria vita: decidere di dare o meno la vita al proprio figlio. Spesso contro le donne che decidono di interrompere volontariamente una gravidanza viene puntato il dito per aver fatto una scelta egoista. Dietro a questa scelta, tuttavia, ci sono un dolore e una sofferenza fisica e psicologica inimmaginabili, difficoltà familiari ed economiche e, molto spesso, violenza sessuale da parte dei partner. Decidere di abortire è comunque come subire un lutto, cambia completamente la vita di una donna. La pratica abortiva lascia segni indelebili sia fisicamente, che psicologicamente, ma la voce delle donne e le loro esperienze di vita non si considerano mai.
I consultori sono nati come primi spazi pubblici in cui le donne si prendevano cura a vicenda, prima ancora che fossero istituiti dallo Stato. Questi sono diventati un porto sicuro in cui le donne possono trovare il supporto fisico e psicologico di cui hanno bisogno: proprio per questo (ma credo anche per un motivo economico), i consultori sono il luogo a cui la maggior parte delle donne si rivolge per avere il certificato necessario per procedere con la pratica di interruzione volontaria di gravidanza. Nel 2021, infatti, il 68,4% dei consultori ha fornito servizi di counseling e di rilascio di questi certificati. Far diventare i consultori pubblici una costola del patriarcato è, quindi, una sconfitta che non ci possiamo permettere e a cui dobbiamo rispondere con forza.

E in una società in cui spesso diciamo “sì, ma ognuno poi è libero di fare quello che vuole”, ci sono situazioni in cui evidentemente non siamo davvero così liberi. In Italia, il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza è già abbastanza in crisi: secondo il report del Ministero della Salute per l’anno 2021, tra i ginecologi, gli obiettori di coscienza sono il 63,4%, tra gli anestesisti il 40,5%, e per il personale non medico il 32,8%, con tassi che superano l’80% nella Provincia di Bolzano e in Regioni come Abruzzo, Molise, Basilicata e Sicilia. Secondo il report dell’Associazione Luca Coscioni, inoltre, ci sono ospedali in tutta Italia che hanno un tasso di obiezione pari al 100% o superiore all’80% per tutte le categorie professionali. Sono inoltre 11 le Regioni italiane che hanno almeno un ospedale con il 100% di obiettori. Per questo motivo, molto spesso le donne devono spostarsi fuori Provincia o addirittura fuori Regione per poter aver accesso alla pratica.
Un dato che ho trovato allarmante è stato la crescita di aborti tra le ragazze con meno di 20 anni: dal 1,9 per 1.000 donne nel 2019 al 2,1 nel 2021. E questo dovrebbe farci riflettere su un’altra questione altrettanto urgente ed importante: portare l’educazione sessuale nelle scuole e nelle famiglie, con un cambio di prospettiva sulla sessualità maschile e femminile.

Durante le lotte per la legge sull’aborto, cominciate nel 1970 (la legge 194 è stata approvata nel 1978), molte femministe italiane si sono dichiarate contro questa legge, ma non perché il diritto di autodeterminazione della donna non fosse importante, quanto più perché una legge non avrebbe cambiato il modo di vedere la sessualità femminile. Questa, infatti, era sempre stata considerata in funzione della procreazione: la donna viveva la sua sessualità solo ed esclusivamente nell’atto della penetrazione, atto che trova suo potenziale compimento nella fecondazione. La legge sull’aborto, secondo alcune femministe, non avrebbe cancellato, quindi, tutte quelle esperienze di dolore e sofferenza vissute dalle donne che avevano scelto di abortire, così come ad un ripensamento della sessualità femminile. Questa, infatti, sarebbe rimasta comunque in funzione del dominio maschile: le donne avrebbero continuato a subire violenze e a vivere la propria sessualità come un atto di oppressione.
Oggi, che la sessualità femminile dovrebbe essere più libera, viviamo ancora in un contesto sociale che vede la donna come oggetto sessuale maschile e che vive la propria sessualità in funzione di quella del maschio, non considerando anche il proprio piacere sessuale. Il maschio, per questo motivo, viene in qualche modo legittimato ad usare anche la violenza per il proprio piacere. Combattere la cultura della violenza e dello stupro in cui viviamo parte anche da questo: dalla consapevolezza che ogni donna e ogni uomo dovrebbe sviluppare riguardo il rapporto con la propria sessualità e quella dell’altro.

Altro aspetto sicuramente fondamentale è la sensibilizzazione e l’accessibilità alla contraccezione. In Italia, i metodi contraccettivi più moderni non sono ancora abbastanza estesi ed utilizzati, e quelli più tradizionali, come la pillola e il preservativo, sono in forte calo (indagine Istat, 2019): rispettivamente, dal 25,9% nel 2013 al 21,1% e dal 39,1% al 35%. Inoltre, i contraccettivi ormonali non sono sempre del tutto accessibili: la gratuità della pillola, per esempio, è prevista solo in casi terapeutici e, in alcune regioni, in determinate situazioni considerate “fragili”, come, per esempio, adolescenti o donne che hanno avuto un’interruzione volontaria di gravidanza.

Il diritto all’aborto è un diritto intoccabile, forse migliorabile in termini legislativi, ma credo sia giusto dare la possibilità ad ogni donna di scegliere liberamente del proprio corpo. Proteggere quindi l’autodeterminazione della donna è fondamentale, così come mantenere i posti di cura della donna – i consultori – liberi da visioni e pratiche patriarcali.

Ma non basta. Dobbiamo anche richiedere una maggiore educazione sessuale nelle scuole e nelle famiglie, anch’essa libera dagli schemi che il patriarcato ci impone. Dobbiamo richiedere un maggiore accesso agli anticoncezionali, per vivere la nostra sessualità in maniera più serena e libera.

Come? Non solo manifestando, incazzandoci, alzando la voce, ma anche richiedendo accesso all’educazione sessuale. Richiedendo che i consultori entrino nelle scuole e nelle università, per offrire supporto a ragazzi e ragazze. Richiedendo che la contraccezione diventi gratuita per tutte e tutti.

Abbiamo tutti i mezzi e le informazioni necessarie per cambiare le cose e per riprenderci quello che è nostro. Perché le nostre nonne e bisnonne hanno lottato con le unghie e con i denti per l’autodeterminazione femminile: il nostro corpo è NOSTRO e di nessun altro. Non possiamo lasciare che altri decidano per noi.

Camilla Ferello

Risposte

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