Parlare di ciclo

Le riflessioni migliori nascono dal quotidiano. Se ci si ferma a riflettere, ci si accorgerà che tutto ciò che noi pensiamo e su cui riflettiamo nasce da una comparazione. Tale atto comparativo può avvenire sia tra soggetti altri, sia, più comunemente, tra noi stessi e gli altri. Ciò significa che l’essere umano può effettuare una comparazione, e di conseguenza una riflessione, anche facendo riferimento a quotidianità e tematiche che non lo riguardano in prima persona. Tuttavia, un’operazione riflessiva di tal genere può portare spesso a formulare un pensiero che si spinge solo fino ad un certo punto, che rimane in qualche modo superficiale, poiché riguardante un tema che, per quanto interessante, non ci tocca personalmente e di cui, quindi, non ne abbiamo fatto sufficiente esperienza per comprenderlo a fondo. Nel momento in cui, invece, ci fermiamo a riflettere su un argomento che ci interessa perché lo viviamo in prima persona, ecco che nascono le riflessioni profonde. Esse sono, infatti, più significative per un semplice motivo: il vivere la tematica nella nostra quotidianità crea curiosità e ciò porta a porsi domande costanti a riguardo. E più ci poniamo domande, più cerchiamo risposte attraverso una ricerca dettagliata, pignola, che non si fermi alla superficie, ma che testardamente continui fino a snocciolare tutte le sfaccettature dell’argomento. È in quel momento che si possono fare scoperte grandiose, la prima delle quali è rendersi conto che il tema di cui stiamo ricercando non solo ci interessa, ma ci appassiona, perché creiamo con esso un legame emotivo che ci spinge ad andare sempre più a fondo alla questione.

Questo è esattamente ciò che è successo a me. È l’origine della domanda che sta al centro di questo articolo e che è nata proprio dalla quotidianità. L’episodio è semplice: una cena in studentato, dopo una giornata piena. Si parla del più e del meno fino a che, ad un certo punto, si tocca l’argomento “ciclo mestruale”. In quell’occasione abbiamo discusso di come funzionasse la pillola anticoncezionale, rendendoci conto che per saperlo dovevamo prima capire come funzionasse normalmente il ciclo mestruale. Solo poi, però, mentre parlavamo di come venisse trattato l’argomento in famiglia, mi è scattato qualcosa. Mi sono resa conto di un fatto sconcertante: nessuno di noi sapeva come funzionasse di preciso il corpo femminile e molti di noi non sapevano nemmeno le informazioni basilari poiché in famiglia non avevano mai toccato il discorso. Da questa realizzazione, dunque, nasce la domanda che mi ha portato ad una lunga ricerca: perché in famiglia non si parla di ciclo mestruale?

“Fenomeno fisiologico caratteristico dell’età feconda della donna, rappresentato dalla periodica fuoriuscita di liquido sanguinolento dalle vie genitali (flusso mestruale). Avviene quando manca l’impianto nella cavità uterina dell’uovo fecondato.”. Questa è la definizione del termine “mestruazione” fornita dall’Enciclopedia Treccani. Come si può vedere il fenomeno viene definito “fisiologico”, ad indicare come esso sia assolutamente normale e, anzi, fondamentale per il funzionamento del corpo femminile. Infatti, pur non conoscendo ancora quale sia la funzione specifica delle mestruazioni all’interno del ciclo riproduttivo, si è ormai d’accordo sull’affermare che esso sia un indice essenziale della salute di una donna. Tuttavia, sebbene la medicina odierna le riconosca come elemento basilare della fisiologia del corpo femminile, una volta le mestruazioni venivano, invece, maggiormente collegate alla sfera magica.

Le prime testimonianze del ciclo mestruale risalgono all’Antico Egitto: i Papiri di Kahun e di Ebers, infatti, sono i primi documenti storici a descrivere un prototipo di assorbente realizzato con dei tamponi di papiro ammorbidito o di lino che venivano inseriti in vagina e successivamente lavati da donne addette a tale compito. Sebbene gli antichi egizi non conoscessero nel dettaglio il funzionamento del ciclo mestruale, lo ritenevano un fenomeno completamente naturale, allo stesso livello del parto. Il medesimo punto di vista non venne adottato, invece, in Grecia, dove si credeva che le mestruazioni fossero un residuo di cibo non digerito a sufficienza e che le donne, aventi una temperatura corporea più fredda rispetto a quella degli uomini e, di conseguenza, meno energia, non riuscissero a trasformarlo in sperma. Il sangue mestruale, inoltre, veniva associato ad un alto livello di tossicità, tanto che spesso le donne mestruate erano costrette a ritirarsi nel gineceo per non contagiare altre persone. È da questa credenza che nasce, quindi, un famoso mito: per i greci, infatti, le donne producevano vapori velenosi che circolavano nel cervello e nel cuore e che venivano mensilmente espulsi attraverso il sangue mestruale. Seguendo questo ragionamento, dunque, le donne in menopausa, le quali non avevano la possibilità di espellere il veleno attraverso le mestruazioni, trattenevano nel corpo i vapori tossici e li espellevano attraverso gli occhi, intossicando in tal modo le persone che stavano loro vicino. Da qui il famigerato termine “malocchio”.

Questa visione della donna mestruata come pericolosa venne ereditata, poi, dall’Impero Romano, che continuò a vedere le mestruazioni come un fenomeno impuro. Nella sua Naturalis Historia Plinio il Vecchio scrisse: “All’arrivo di una donna mestruata il mosto inacidisce, toccate da lei le messi isteriliscono, muoiono gli innesti, bruciano le piante dei giardini; dove lei si siede i frutti cadono dagli alberi, al solo suo sguardo si appanna la lucentezza degli specchi, si ottunde il ferro, si oscura la luce dell’avorio, muoiono le api degli alveari, arrugginiscono istantaneamente il bronzo e il ferro e il bronzo emana un odore terribile.”. Tale situazione, già non rosea, continuò a peggiorare nel corso della storia, tanto che nel Medioevo l’atteggiamento nei confronti delle mestruazioni passò da semplici restrizioni ad una visione prettamente ostile. Appartenente a quest’epoca è il manoscritto De secretis mulierum, testo medico scritto da un monaco che definiva la donna non un essere umano, ma un mostro. Nel Medioevo, infatti, si riteneva che il sangue mestruale fosse il risultato dell’incapacità delle donne di eliminare le impurità attraverso il sudore e che, quindi, esso consistesse in vapori dannosi che “avvelenano gli occhi dei bambini nella culla con un solo sguardo” (De secretis mulierum). Di conseguenza, il sangue mestruale cominciò ad essere considerato come un escremento, qualcosa di sudicio ed impuro, e allo stesso tempo iniziarono a svilupparsi credenze e superstizioni a volte sopravvissute fino ai giorni nostri.

Nel XVII secolo, all’epoca del Re Sole nacque, infatti, l’idea che lavarsi aumentasse il flusso mestruale e che cambiare biancheria intima durante quel periodo provocasse malattie. In età vittoriana, alle donne mestruate era proibito l’accesso ai giardini poiché si credeva che causassero la morte delle piante. Inoltre, ad accompagnare lo sviluppo di tali credenze popolari vi è sempre stata, nel corso della storia, una presenza fondamentale: la Chiesa. Nel mondo delle scritture cristiane, infatti, sono presenti testi che hanno contribuito a peggiorare tale interpretazione delle mestruazioni. Basti pensare alla maledizione di Eva nella Genesi: “Alla donna disse: <Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ed egli ti dominerà.>” (Genesi 3, 16-19). Tale maledizione, infatti, nel Medioevo venne estesa non solo al parto ma anche alle mestruazioni stesse. Del mestruo parla anche il Levitico, il quale afferma: “Quando una donna abbia flusso di sangue, cioè il flusso nel suo corpo, la sua immondezza durerà sette giorni; chiunque la toccherà sarà immondo fino alla sera. Ogni giaciglio sul quale si sarà messa a dormire durante la sua immondezza sarà immondo; ogni mobile sul quale si sarà seduta sarà immondo. Chiunque toccherà il suo giaciglio, dovrà lavarsi le vesti, bagnarsi nell’acqua e sarà immondo fino alla sera.” (Levitico 15, 19-21). Altro obbligo dettato dall’Antico Testamento consiste nel curare il proprio corpo prima di presentarsi di fronte a Dio. Anche questa imposizione venne estesa nel Medioevo, ad una concezione spirituale della purezza, che portò alla nascita dell’ideale della verginità, incarnato dalla figura della Vergine Maria, e della vita ascetica, andando a considerare le mestruazioni, così come gravidanza e parto, come espressione del desiderio sessuale e della peccaminosità umana.

Ma se si crede che tali convinzioni siano appartenute solo all’antichità e ai secoli bui, si è in torto. Infatti, teorie di tal fatta sulle mestruazioni permasero, fino ad influenzare una nuova interpretazione nata nel 1900: la teoria della menotossina. Tale teoria venne sviluppata dal dottor ungherese Béla Schick, il quale effettuò un esperimento: egli mise due mazzi di fiori in due vasi, uno dei quali era stato maneggiato da una donna con le mestruazioni, con l’obiettivo di provare che i fiori posti in quest’ultimo, appassendo più rapidamente, dimostrassero che “nelle secrezioni della pelle dei soggetti mestruati sono presenti un veleno o una tossina che accelerano la morte dei fiori”. Da tale esperimento nacque, dunque, la teoria della menotossina, termine ad indicare le sostanze nocive emanate dalle donne mestruate. Successivamente, vennero effettuati ulteriori esperimenti da parte di altri scienziati a sostegno di tale supposizione: qualcuno iniettò del sangue mestruale nei roditori per vedere se sarebbero morti, altri coltivarono piante nel sangue venoso di donne mestruate. Sebbene tale teoria al giorno d’oggi sia stata screditata, è bene comprendere che essa è rimasta in circolazione fino agli anni ’90 del ‘900, ovvero fino a trent’anni fa.

Da tutte queste visioni e interpretazioni sviluppatesi nel corso della storia sono nati falsi miti che hanno influenzato la vita delle donne ed avuto ripercussioni sulla loro vita sociale. Tra le varie credenze si possono enumerare la convinzione che le donne mestruate facessero appassire i fiori, trasformassero il vino in aceto, facessero impazzire la maionese e rendessero i campi coltivati sterili. A tali superstizioni, che al giorno d’oggi potremmo ritenere superate, se ne affiancano altre a cui tutt’ora viene prestato orecchio, come ho potuto constatare dalla conversazione nata quella sera a cena. Esistono ancora persone, infatti, che credono fermamente che non si possa fare la doccia durate le mestruazioni, che in quel periodo i cappelli non debbano essere lavati né tinti, che sia preferibile non praticare attività fisica. Alcuni credono perfino che il sangue mestruale attiri squali e orsi. E se questi falsi miti ci possono sembrare ancora, in qualche modo, innocenti, allora proviamo a pensare alla convinzione che non si possano avere rapporti sessuali durante il periodo mestruale o, ancora peggio, che non si possa rimanere incinta durante quei giorni. Tutte queste credenze, dalla più ingenua alla più grave, hanno in realtà forti ripercussioni sulle donne e sulle ragazze a cui vengono imposte. È per questo motivo che bisogna informarsi e parlane, perché solo così si può dimostrare che questi falsi miti sono esattamente tali: delle credenze popolari senza alcun fondamento scientifico.

Tuttavia, allo stesso tempo, ci si chiede anche come si possa parlare di ciclo mestruale e di mestruazioni, se, ancora adesso, solo poco più della metà della popolazione italiana utilizza comunemente il termine “ciclo” per riferirsi al mestruo (Rapporto Essity 2019). Un termine, oltretutto, che da un lato è sicuramente migliore perché toglie in parte il tabù, ma che dall’altro rimane scientificamente inesatto poiché ciclo e mestruazioni non sono la stessa cosa. In Italia, infatti, come anche in tante altre parti del mondo, esiste ancora una lista infinita di eufemismi che vengono utilizzati al posto del termine “mestruazioni” nelle situazioni quotidiane, per mantenere l’argomento confinato all’interno del tabù. Il termine più ricorrente rimane “cose”, ma altri le chiamano “guaio”, “periodo”, “marchese”, “regole”, “zio/zia”, “quei giorni”, “armate rosse”, “i parenti”. Questi sono solo alcuni esempi delle tante espressioni utilizzate, e la loro esistenza e il loro numero ci dicono una cosa fondamentale: si ha ancora molta paura delle mestruazioni. Esse rimangono un tabù e sono accompagnate costantemente da una grave mancanza di informazioni. Una condizione sociale, questa, che può essere riassunta in un concetto: povertà mestruale. Questa espressione, infatti, non indica solo la mancanza di accesso ai prodotti mestruali (assorbenti, tamponi, pillole anticoncezionali, etc.), a spazi e a strutture adatte a gestire questo specifico fenomeno fisiologico femminile, ma si riferisce anche alla mancanza di informazioni adeguate sull’argomento. In tale concetto, pertanto, rientrano anche l’impossibilità di prendere libere decisioni sul proprio corpo, il non poterne parlare a causa dei tabù, il dare ascolto a falsi miti che danneggiano la donna, e il vivere in un costante imbarazzo sociale causato dall’ignoranza della società in cui si vive.

Purtroppo, tutto ciò non riguarda solo luoghi e persone a noi lontani, ma riguarda anche l’Italia stessa. Di questo si è occupata una ricerca di Essity, condotta nel 2019 sulla popolazione italiana con l’obiettivo di analizzare e comprendere “il vissuto delle mestruazioni nella cultura del nostro Paese” (Rapporto Essity 2019). L’analisi è stata svolta su un campione rappresentativo di 1633 residenti in Italia, tra uomini e donne di età compresa tra i 15 e i 65 anni. I principali risultati della ricerca hanno dipinto una situazione tutt’altro che positiva: la metà delle donne intervistate vive ancora le mestruazioni come un evento “fuori dalla normalità”, più di un quarto dichiara di provare disagio e imbarazzo ed altrettante le considerano una condizione invalidante. Inoltre, solo una intervistata su due dichiara di essere stata preparata prima del primo ciclo mestruale. Mediante l’utilizzo di un questionario sono state poste domande precise riguardo molti aspetti, tra cui, ad esempio, l’opinione delle donne circa il parlare di mestruazioni da parte degli uomini. È stato risposto che gli uomini “non sono interessati, ritengono sia un tema lontano da loro, che non li riguarda” (il 62, 5% delle donne condivide l’affermazione molto o abbastanza) e che “è un argomento che trattano con disagio e imbarazzo” (60,7%). Sono state anche analizzate le principali figure di riferimento in tema di mestruazioni: le donne di famiglia sono il principale punto di riferimento per il 55,9% delle donne, per il 51,8% il ginecologo, mentre gli uomini di famiglia hanno un ruolo del tutto irrilevante (1,5%). Sono state poste anche domande riguardanti alcuni falsi miti e i risultati sono stati sconcertanti, soprattutto per quanto riguarda il genere maschile: solo il 56% degli uomini considera falso il mito secondo cui non si debba fare il bagno durante le mestruazioni, e un terzo degli uomini ritiene ancora che le donne abbiano “limitate capacità intellettuali, di giudizio e fisiche” durante quel periodo. Emerge, così, un quadro di ignoranza generale, radicata ancora di più tra gli uomini, con il 49% che ritiene sia necessario evitare rapporti sessuali durante le mestruazioni e con solo il 51% che ritiene falsa la convinzione che sia meglio per le donne mestruate “evitare di trovarsi in situazioni di natura selvaggia o fare il bagno in mare aperto perché si potrebbero attrarre predatori (come orsi e squali)”.

Perché ho scelto di parlare di tutto questo? Perché secondo me ci aiuta a capire il motivo per cui sia così importante parlare di ciclo mestruale. È importante innanzitutto per sfatare i falsi miti, per combattere le credenze popolari che condizionano ingiustamente la vita delle donne, per rivendicare un maggior riconoscimento scientifico nei confronti di un argomento di cui si conosce ancora troppo poco. Infatti, finché la situazione rimarrà tale quale, ci troveremo in un contesto di continua esclusione nei confronti delle donne. Una volta, infatti, alle donne mestruate veniva impedito di cuocere il pane, di aiutare a macellare, di accedere ad alcune mansioni. Nel Medioevo non si poteva entrare in chiesa se si era “in quel periodo”. In alcuni paesi, come il Nepal, ancora oggi viene prevista la reclusione in capanne mestruali per tutta la durata del mestruo. Queste sono restrizioni che in Italia non hanno più luogo, anche se le donne italiane devono continuare a rinunciare a parte della loro vita a causa delle mestruazioni: rinunciano all’attività fisica, che invece farebbe bene soprattutto per i crampi mestruali, rinunciano alle uscite mondane per l’imbarazzo, rinunciano ad andare in spiaggia perché far vedere l’assorbente sotto il costume viene ancora visto come scandaloso. A questo si aggiunge poi il disagio sociale di dover chiedere un assorbente a bassa voce, come fosse illegale, di dover andare in bagno con tutta la borsa perché non si può assolutamente mostrare l’assorbente, nemmeno se è pulito e chiuso nell’ involucro, di non poter parlare liberamente dei problemi legati al ciclo mestruale perché non si hanno persone di riferimento e perché non ci si sente nemmeno ascoltate.

Tutto questo genera un peso mentale e sociale che grava sulle spalle delle donne, un peso invisibile che nessuno riconosce finché non viene posto sotto gli occhi delle persone evidenziato di rosso. Tutto ciò deve cambiare. Il passo principale è parlarne e l’elemento fondamentale è la famiglia. Bisogna, infatti, parlare di ciclo mestruale in famiglia e non solo tra madre e figlia, ma devono essere coinvolti tutti. Perché non c’è bisogno che ne siano consapevoli solo le figlie, perché ne sono coinvolte direttamente, ma anche i figli, dal momento che il ciclo mestruale, come abbiamo detto, è un fenomeno fisiologico comune a metà della popolazione globale. E non ne devono parlare solo le donne, perché è il loro compito, ma ne devono parlare tutti, anche gli uomini, poiché fare sensibilizzazione sull’argomento non è solo giusto, ma un dovere verso una società più equa. Parlare del ciclo mestruale e di tutto ciò che ad esso è legato, infatti, contribuisce a sdoganare i tabù, a togliere l’imbarazzo, a normalizzare il fenomeno e soprattutto a fornire maggiori informazioni fondamentali per la crescita personale e relazionale di ognuno di noi.

È ciò che sta accadendo in India, dove ha preso piede un movimento finalizzato a combattere i tabù che il Paese ha sulle mestruazioni. Un migliaio di donne ha aderito all’iniziativa, esponendo i propri calendari mestruali sulle pareti o sulle porte di casa, con l’obiettivo di abbattere la vergogna legata al fenomeno e di portare maggiore sensibilizzazione all’interno delle famiglie. Il risultato è stata una discussione molto più aperta sull’argomento e lo sviluppo di maggiore consapevolezza e comprensione da parte delle famiglie di queste donne. Questo ci dimostra, ancora una volta, il potere che la parola ha. Parlare significa rendere la cosa pubblica, esporla al mondo senza doversene vergognare. Anche il ciclo mestruale deve diventare una cosa normale, di cui discutere senza imbarazzo innanzitutto in contesto familiare. Perché solo così si può scatenare un effetto a catena: se il ciclo mestruale diventa normale in famiglia, allora poi lo diventerà anche fuori, poiché le persone vedranno l’argomento come ordinario e non proveranno vergogna o imbarazzo nel parlarne. E chissà, forse in questo modo il tema diventerà normale persino a scuola o al lavoro, e le persone ne discuteranno senza problemi con i colleghi e i superiori. Inoltre, parlare non toglie solo l’imbarazzo, ma fa circolare anche le informazioni.

Più le persone parleranno del ciclo mestruale, più diverranno interessate al tema, più curiose, si informeranno ed avranno maggiore consapevolezza di sé stessi e degli altri. In questo modo si formerà maggiore sensibilità che porterà, forse, all’emanazione di leggi come quella del congedo mestruale, già presente in Francia, ad un miglioramento nel campo della medicina, il quale in Italia rimane ancora indietro (il ritardo diagnostico in Italia per l’endometriosi è di 7-9 anni), e all’abbattimento di tutti quei pregiudizi legati al ciclo mestruale e non solo. In breve, si darà origine ad una società più aperta all’ascolto e alla comprensione del genere femminile, che favorirà il dialogo e la comunicazione paritaria tra tutti i cittadini, che garantirà i giusti diritti alle donne e che, soprattutto, offrirà ai soggetti interessati la possibilità di crescere non solo da un punto di vista relazionale, ma anche personale. Perché menti più aperte formano persone migliori.

Marta Ferrarini

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