Il peso delle parole

Cambiare le narrazioni sulla violenza di genere

Come redazione abbiamo riflettuto molto su come affrontare questa giornata, la Giornata mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne, poiché non volevamo risultare banali, cadere nel vittimismo, e nemmeno finire di puntare il dito contro qualcuno.

Cerchiamo quindi di dare, in primo luogo, delle coordinate: la violenza di genere è una forma di discriminazione, che porta alla limitazione della propria libertà e dei propri diritti fondamentali. Facciamo parte di una società, per cui siamo sempre più abituati a essere messi di fronte ad atti di violenza visibili, eclatanti, eppure, ci sono forme di violenza che si muovono sotto la superficie e che non sono subito palpabili. Come i fiumi carsici, scorrono nel profondo del sottosuolo, erodono il terreno, per poi emergere all’improvviso, in modo impetuoso e soprattutto apparentemente inaspettato. Spesso, infatti, si rischia di collegare la violenza di genere solo con questa emersione improvvisa e inaspettata, di cui violenze fisiche, stupri e omicidi sono solo ciò che si vede in superficie e che nascondono il loro percorso. Nella profondità del suolo, infatti, c’è un fiume, la cui acqua erode il terreno, così come erode l’anima di chi subisce una violenza, che però passa inosservata e che riguarda tutti e tutte noi. Perché non si tratta solo di violenza contro le donne: si tratta di una violenza intrinseca e trasversale all’interno di un sistema sociale e culturale che la impone come risoluzione dei conflitti e dei rapporti umani. Siamo inoltre immersi in un contesto mediatico e politico in cui la violenza è all’ordine del giorno, per cui siamo sottoposti a immagini e notizie che riempiono la nostra quotidianità. A causa di questa sovraesposizione, ci siamo ormai abituati alla sua presenza, siamo diventati insensibili e indifferenti a tutta la violenza che ci circonda. Ognuno sta all’interno della propria bolla, perché, in fondo, sono questioni troppo lontane da noi, per cui noi come individui “non possiamo farci nulla” o “non ci riguardano”. E invece ci riguardano eccome. Riguardano il nostro modo di vedere l’altro, di comprenderne le differenze, di costruire relazioni autentiche e sane con chi è differente da noi. E la paura che ci viene impressa rispetto a coloro che per genere, etnia, classe e orientamento sessuale sono differenti da noi, ci impedisce di vedere la sensibilità e la soggettività che si nasconde nella persona che abbiamo di fronte. E questa, non è forse violenza?

Ma allora, se è così intrinseca e diffusa, perché è così importante parlare di violenza di genere?
È importante perché c’è tanta confusione intorno a questa tematica e, proprio perché siamo sottoposti ad un’attenzione mediatica sempre più forte rispetto a questi fenomeni, rischiamo di diventarne insensibili, di non comprenderne l’importanza, ma soprattutto di cadere in dinamiche disfunzionali che riguardano il rapporto con l’altro/a. Rischiamo, inoltre, di distorcere il problema, vedendolo come un’emergenza, un qualcosa che dobbiamo risolvere con qualsiasi mezzo, quando in realtà è un problema culturale che ha radici ben più profonde e che ha bisogno di una presa di responsabilità da parte di tutte e di tutti.
Bisogna inoltre aggiungere che siamo socializzati in un sistema culturale, per cui per l’appunto il conflitto è la soluzione dei rapporti umani. È più semplice puntare il dito contro qualcuno, piuttosto che dialogare e comprendere il problema reale. È più semplice scatenare una guerra, piuttosto che collaborare con l’altro. È troppo semplice per noi donne generalizzare colpevolizzando gli uomini, così come è troppo semplice per gli uomini prendere le distanze da congeneri che perpetuano atti di violenza. Sembra davvero che siamo immersi in una continua guerra tra generi, in cui ognuno ha le proprie ragioni per colpevolizzare l’altro, senza ascoltare ciò che abbiamo da dirci. Cosa possiamo fare, quindi, per evitare di costruire queste dinamiche e cominciare a crearne di nuove?

Come redazione, crediamo fortemente che vada cambiata la narrativa che si sta costruendo intorno alla violenza di genere: parlare in modo inadeguato di queste tematiche è tanto pericoloso quanto non parlarne affatto. Anzi, può essere ancora più deleterio, in quanto può far passare dei messaggi fuorvianti e infondati, distanti dalla realtà e basati su pregiudizi e preconcetti. Un esempio lampante di ciò, lo abbiamo visto proprio nei giorni scorsi in territorio nazionale, con l’intervento dell’attuale Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara. 

Molte sono state le parole di indignazione verso il ministro, ma noi di Ecologia Digitale crediamo che l’attenzione mediatica datagli sia stata troppa, in quanto non rispecchia la sensibilità di una società che non è d’accordo con questo tipo di discorsi propagandistici. La società italiana, infatti, non ha bisogno di uomini inadeguati come lui, che non sono in grado di prendersi le proprie responsabilità di fronte ad una nazione intera. La retorica utilizzata da Valditara sembra essere inattaccabile, tuttavia utilizza espressioni estremamente fuorvianti, nonché false e che rischiano di portare ad aumentare la disinformazione riguardo la violenza di genere. In quanto ministro, quindi rappresentante della Repubblica italiana, ha in primo luogo la responsabilità non solo di veicolare informazioni veritiere e di non utilizzare una retorica propagandistica; ma ha anche la responsabilità di agire, affinché la situazione nel nostro Paese cambi. Fatto che, se si considera solo la retorica, si rischia di dimenticare. La nostra società non ha bisogno di figure politiche che neghino il patriarcato, perché non è vero che non esiste più; così come non ha bisogno di persone che non riconoscono la violenza di genere come un fatto culturale e sistemico. Non c’è bisogno di un’altra persona che faccia sentire le donne vittime di violenza inadeguate, sbagliate, non viste e non ascoltate, e che contemporaneamente rappresenti un genere maschile che non è in grado di prendersi la propria responsabilità all’interno delle dinamiche di violenza. 

Poiché in molti hanno già commentato le parole di Valditara, noi non vogliamo soffermarci sul suo intervento. Nonostante la grande indignazione, crediamo che soffermarsi troppo sulle sue parole possa essere estremamente controproducente, che possa continuare a fomentare l’odio e la rabbia, emozioni del tutto lecite, ma che hanno anche un grande potenziale distruttivo. E’ giusto e importante smontare le affermazioni del suo intervento, ma lo è altrettanto soffermarsi su cosa vogliamo veicolare in questa giornata. E’ per questo motivo che, invece di veicolare modelli maschili tossici, “inadeguati”, come quelli di Valditara, dovremmo concentrarci su quelle figure che possono cambiare la nostra prospettiva e che riescono, nonostante un mondo pieno di violenza e di odio, a ricercare ancora la profondità che contraddistingue ogni essere umano. In questo senso, non sono stati molti, infatti, gli interventi mediatici che si sono dedicati alle parole di Gino Cecchettin, il padre di Giulia, la ragazza che un anno fa è stata uccisa dall’ex fidanzato. Il 18 novembre, il giorno in cui un anno prima è stato ritrovato il corpo di Giulia, Gino e i suoi figli hanno presentato alla Camera dei Deputati la “Fondazione Giulia Cecchettin”, volta a creare rete per contrastare e prevenire la violenza di genere. La forza di Gino in quel momento è stata incredibile, perché, nonostante le precedenti parole del ministro, è riuscito a veicolare non solo un messaggio che tutti dovremmo tenere a mente, ma anche un modello che porti alla ricerca di umanità in sé stessi e nell’altro. Perché un uomo che ha subito la morte di una figlia e che si scusa per l’emozione ad un anno dalla sua scomparsa, non può che essere un esempio di umiltà e umanità per tutti noi. All’inizio del suo discorso, Gino afferma: “La velocità con cui consumiamo le nostre relazioni, le scelte, i progetti, ci allontana da quello che conta veramente.”. Ascoltando queste parole, si può facilmente pensare a quanto siamo distratti dalla retorica, da personaggi come per l’appunto Valditara, che ci fanno allontanare dalle cose importanti della vita, come il rispetto, la dignità e la libertà di ognuno e ognuna di noi. Le “cose importanti” riguardano però anche queste tematiche e la posizione che ognuno di noi prende. Perché è facile cadere nella generalizzazione: tutti gli uomini sono oppressori e tutte le donne sono vittime. Dobbiamo iniziare a districarci da queste generalizzazioni, poiché sono molto pericolose. In primo luogo, perché non permettono il dialogo, bensì fomentano quella “guerra tra i sessi” di cui si sente tanto parlare e porta alla sfiducia reciproca. In secondo luogo, perché rischiamo di giocare, soprattutto nelle relazioni, sempre sulla difensiva: da una parte, gli uomini punteranno sempre il dito contro le femministe arrabbiate, deresponsabilizzandosi all’idea di essere parte di quel sistema e di non essere legittimati a diventare degli alleati per cambiare le cose; dall’altra le donne vedranno gli uomini come degli “orsi” di cui non potersi fidare e di cui avere paura. Viene inoltre distolta l’attenzione da quello che è il problema reale, che non è un’emergenza, non è nemmeno un attacco, ma fa parte di un sistema culturale, per il quale ognuna e ognuno di noi, in quanto donna e in quanto uomo, deve fare la propria parte affinché questa condizione cambi. La paura indotta verso il genere maschile e far ricadere su di esso tutta la responsabilità è inoltre un atto di disumanizzazione verso l’altro: definirsi vittime a priori, in quanto di genere femminile, da una parte, ci toglie la responsabilità di pensare che anche noi possiamo commettere atti di violenza; dall’altra, rischia di generalizzare il fenomeno della violenza di genere, decontestualizzandolo e mettendolo su un piano superiore, l’appartenenza al genere femminile, rispetto alla realtà dei fatti.

Ecco perché ci servono narrazioni che vadano oltre la generalizzazione, che non prendano l’uomo e la donna come “soggetti universali”, ma che siano più vicine alle persone reali, le quali sono profondamente diverse. Infatti, Gino successivamente aggiunge: “Ognuno ha il diritto al rispetto della propria dignità, del proprio corpo e della propria interiorità. […] E’ nostro dovere proporre modelli di relazione basati sulla stima reciproca, sull’ascolto e sul rispetto. […] Oggi vi invito a dare valore a ciò che conta davvero, a ciò che ci consente di rimanere umani, di aiutare, invece di distruggere. La ricerca continua del potere, dello status, ha un costo troppo alto, ci consuma, ci ruba tempo, ci priva della pienezza della vita.”. Queste sono le parole di un padre che ha perso una figlia, nonché di un uomo che si è preso la responsabilità di fare qualcosa per il cambiamento e che è riuscito a trasformare il dolore, la rabbia, il risentimento, in qualcosa di positivo. Questi sono i modelli di cui abbiamo bisogno oggi: di persone che siano in grado di portare rispetto e dignità verso ogni essere umano, di qualunque genere, etnia, classe o orientamento sessuale appartenga. Gino, nella sua semplicità e umiltà, è una persona che è stata in grado di andare oltre le retoriche e che si è preso la responsabilità di voler cambiare le cose. Bisogna dare spazio a coloro che si stanno già impegnando per costruire una società diversa, volta ad educare i cittadini di domani al rispetto reciproco. Ed è arrivato il momento per cui ognuno e ognuna di noi si prenda la responsabilità di fare la propria parte e smetterla di rimanere nell’indifferenza. Perché non è vero che non possiamo portare il cambiamento, qui e ora. Un primo passo è quindi affrontare queste narrazioni che non ci permettono di prendere consapevolezza di ciò che accade davvero, nonché di ascoltare coloro che questi problemi li vivono quotidianamente.

Come redazione crediamo molto nell’importanza delle parole e del dialogo, nonché nello scambio di idee e opinioni come spinta verso il cambiamento e, per questo motivo, vogliamo oggi veicolare un messaggio che faccia sì che ognuno di noi possa essere portatore di cambiamento. Perché noi ci crediamo.

– La redazione di Ecologia Digitale

Qui potete trovare il video del discorso di Gino Cecchettin

In allegato il testo di spiegazione dell’azione portata all’interno di Unibz nel campus di Bressanone

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