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La ricetta del cambiamento
Essere dinamici ci dà una delle occasioni più uniche nella vita: cambiare noi stessi e cambiare quello che ci circonda. Non chiamateci sognatori, ma autori della nostra esistenza.
C’è un famoso film di Bernardo Bertolucci decisamente da guardare nella fascia d’età adolescenziale e nostalgica che, prima o poi, arriva per tutti. È quel periodo della vita in cui uno si alza al mattino e decide che vuole cambiare il mondo. Sì, proprio così, cambiare l’enorme e minaccioso mondo che ci circonda.
Il che non significa soltanto che quel mattino indosserai calzini gialli e rossi a pois perché il nero e il grigio sono ormai superati, non significa nemmeno che manderai a quel paese il tuo vicino ultrasettantenne che puntualmente ti fissa attraverso le tende della cucina mentre ti spogli, non significa che dal prepararti ogni giorno un noioso toast per pranzo comincerai a cucinare ostriche e caviale.
O forse sì.
In fondo, cos’è il vero cambiamento se non quello che comincia da azioni minime e all’apparenza insignificanti? C’è un film di Bertolucci, dicevo, che si intitola “The Dreamers”. Un film che srotola sul tavolo astratto della mente mille opinioni e sensazioni. Non è propriamente quello che si definirebbe un bel film (anzi, per molti una produzione lenta, controversa, esplicita, cruda), ma qualcosa che potrebbe definirsi d’ispirazione.
Andando oltre le impressioni immediate, come l’invidia per il fisico di Eva Green e la spiccata ingenuità del protagonista Matthew, Bertolucci propone diversi ideali che un tempo (in questo caso alla fine degli anni ’60) erano pane quotidiano. O almeno, questa è l’impressione che spopola tra i giovani di oggi.
“Erano altri tempi”. “I ragazzi erano diversi”. “Si lottava per ideali realistici”.
E se a distanza di quasi quarant’anni, i giovani fossero in fondo gli stessi? Le proteste del ’68, come simbolo della ribellione giovanile, è vero, appartengono al passato, ma oggi sono ancora i giovani a scendere in strada per il cambiamento. Spesso sento dire da chi comincia ad ingrigire i capelli che i giovani di oggi non fanno nulla. Anzi, ancora peggio, che la loro rabbia e la loro ribellione sfociano in violenza. Sono convinta che alcune persone delle generazioni precedenti alla nostra nutrano un mix di nostalgia e frustrazione per non appartenere più ad un corpo giovane e non possedere più la salda convinzione che il mondo possa essere cambiato. Qualcosa in loro li spinge a pensare che “se non ci siamo riusciti noi, quando era il nostro momento, nemmeno voi ci riuscirete”. Può essere che abbiano ragione come è anche possibile che si sbaglino, che il torto metta in dubbio anche le loro stesse convinzioni e che non siano in grado di ammettere che essere giovani è straordinario. Inoltre, la nostra generazione dispone di mezzi ancora più efficaci per mettere in atto il cambiamento in tempi rapidissimi, prima tra questi la tecnologia. Di tecnologia si parla tanto, ma ancora si sa poco. Eppure, c’è qualcosa di straordinario nei media, qualcosa senza precedenti, qualcosa che nemmeno i giovani più rivoluzionari del passato potevano sfruttare. Sto parlando della possibilità di unire. È un luogo comune quello dei media che creano dipendenza, rendono le nostre menti statiche e i nostri valori banali (anche se in qualche caso è vero e ci sarebbe molto da dire su questo). Tuttavia, il loro vantaggio più grande è connettere menti affini, che, se vuoi mettere in piedi un’organizzazione terroristica può essere negativo, ma se vuoi cambiare il mondo ti basta condividere le tue idee e, come in una partita di tennis, la pallina che hai lanciato rimbalzerà sulla racchetta di qualcuno per poi tornarti indietro con un valore aggiunto. È la grande possibilità di confrontarci e aggiustare le nostre idee che ci rende potenti, aperti al cambiamento e pronti a metterlo in pratica. E oggi, questo è largamente possibile grazie al mondo digitale.
Essere giovani è un’occasione irripetibile per il movimento. Movimento come dinamismo, la volontà di non rimanere fermi. Un movimento che non si misura in azioni eclatanti, ma in “piccole cose”. Ho virgolettato “piccole cose” perché è un’espressione che detesto, che mi rimbomba nelle orecchie dai tempi dell’asilo, una sorta di cavallo di battaglia per Aforismi.it. Tra l’altro “piccole cose” non determina se si tratti di piccole cose giuste o piccole cose sbagliate. Quindi, riformulando la frase di poco fa, mi piacerebbe dire che il movimento dei giovani si misura nell’essere la cosa più naturale che si possa essere, ovvero umani. Le azioni dettate dall’umanità sono il nocciolo del vero cambiamento, in un primo momento individuale per poi estendersi fino a diventare un cambiamento collettivo. Non è vero che nel digitale non esiste umanità: molti sostengono che il mondo dei media sia un mondo asettico, sterile, ma in realtà è solo una forma diversa di umanità che si adatta ai tempi in cui viviamo. La nostra generazione, che si voglia ammettere o meno, è inglobata nei media. Quindi tanto vale sfruttare questi strumenti nel modo giusto e a vantaggio di qualcosa di rivoluzionario.
Credo che se cambiamento fosse un piatto da preparare, la migliore versione della sua ricetta sarebbe intitolata “umanità”, quella versione che spesso non è riportata nei ricettari, ma che solo le nonne custodiscono segretamente nella memoria. Gli ingredienti sarebbero tutte le cose magiche che derivano da quel titolo: apertura al nuovo, coraggio, consapevolezza delle proprie forze, apprezzamento del proprio valore. Ultimo step, che si può metaforicamente associare alla cottura in forno ventilato, sarebbe la messa in pratica di questi valori. 180, 200 gradi, non importa, scegliete voi la temperatura, ma il tempo di cottura dovrebbe equivalere a tutta la vita. Sarebbe una ricetta davvero ottima, probabilmente da inserire nella sezione “Primi piatti”. Un primo piatto che da domani si potrebbe sostituire al solito noioso toast.
-Beatrice Ferretti
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