Shock the Culture – Ecologia dell’accoglienza

Shock.

Noto, con piacere mitigato dall’apprensione, di non essere affatto immune dall’euristica della disponibilità (availability heuristic). I primi temi, che si materializzano nella mia mente nel momento in cui cerco di decostruire la parola shock, ripercorrono passo passo le informazioni che più mi hanno colpito negli ultimi giorni. A partire da quelle più spesso proposte dai media ed emotivamente coinvolgenti: guerra in primis.

Parlare di guerra, però, non è nel mio interesse. Né di quelle in atto, di cui siamo tutti informati ma poi nessuno sembra sapere realmente nulla, né tantomeno di quelle passate. Così scavo più a fondo nei miei pensieri, stimolo la mia mente a lavorare per associazioni, ed ecco che trovo un possibile anello di congiunzione tra l’assai monografico palinsesto mediatico e un’importante riflessione culturale.

Come riportato dall’ISTAT, la situazione pandemica ha per lungo tempo impedito, o quantomeno scoraggiato, gli spostamenti, sia locali sia globali. Questo ha fatto sì che gli scambi culturali abbiano subito una forte battuta d’arresto. Al contrario, si è intensificata universalmente la produzione di contenuti mediatici, che ha portato chiaramente ad uno scambio di informazioni ma anche ad un’omologazione planetaria delle stesse. Uno era il tema, uno il modo di parlarne. Anche la comunicazione scientifica e istituzionale si sono “arrese”, con conseguenze che ancora parzialmente ignoriamo, al modello di produzione della comunicazione di massa.

Al tempo stesso, i dati sui mezzi di fruizione dei contenuti mediatici, così come l’ormai da tempo decantato declino della carta stampata, hanno dimostrato ancora una volta come la televisione stia diventando sempre meno utilizzata, in particolare dai giovani, sostituita dagli smartphone (anche a discapito dei tablet) e dunque dai social media. Insomma: un’unica informazione, un solo modo di produrla, un solo mezzo per fruirne.

Questa improvvisa e drammatica accelerazione nel processo di omologazione comunicativa non deve però tramutarsi nella convinzione che ovunque si comunichi allo stesso modo. Il modo di comunicare, di interagire, e lo scopo per cui comunichiamo muta a seconda della cultura. E la cultura, anche nel nostro mondo sempre più globalizzato e interconnesso, varia. Infatti, eliminato il filtro del digitale e della narrazione mediatica, che deforma e ci impedisce di vedere la realtà, non si può fare a meno di realizzare come ci siano delle profonde differenze tra le culture del nostro pianeta.

Negli ultimi decenni abbiamo assistito, in quanto cittadini europei, ad un intensificarsi dei flussi migratori verso il nostro continente. Negli ultimi mesi, a causa dell’invasione russa ai danni dell’Ucraina e dei suoi cittadini, si è verificato anche un inatteso, intenso e quanto mai rapido spostamento di persone all’interno dello stesso continente. Questo incontro di individui e di culture sta portando e porterà inevitabilmente ad uno spaesamento culturale.

Nel momento in cui culture differenti vengono in contatto con la cultura europea ed occidentale, i due fenomeni che più spesso prendono forma, sia sui social, sia nel mondo “reale”, risultano essere l’accettazione acritica e quello che potremmo definire lo “scontro sordo”. Questi due approcci sono tanto diametralmente opposti quanto sbagliati. Il primo è tipico delle nuove “sinistre capitaliste”, il secondo delle destre nazionaliste e conservatrici. Da un lato, individui che si dicono aperti al dialogo e all’ascolto riducono la cultura ad un mero oggetto di scambio, a qualcosa da inglobare e da appuntarsi sul petto, a scapito della perdita di significato della stessa. Dall’altro difensori a spada tratta di una chissà quale identità nazionale esclusiva, che ha tutto di ideologico e nulla di pratico.

Il tutto che diviene nulla o l’uno che esclude il tutto e anche se stesso? Il risultato è ovviamente il “fazionismo”, o si è pro o si è contro. O stai con noi o stai con loro. E la scelta a molti sembra scontata: la prendono, e qui il significato si avvicina molto ad essere letterale, per partito preso. Ma non si può essere pro o contro ad una cultura, come i battibecchi populisti sembrano invece voler farci credere. Una cultura è un insieme di pratiche, di modi di fare, di modi di intendere, di pensare: la cultura media i significati che ogni individuo attribuisce ai fatti quotidiani.

Se la percezione del mondo che ci circonda è, a tutti gli effetti, mediata dalla cultura, allora si può dedurre che nell’incontro tra culture differenti ci sarà una differenza di percezioni. Tanto più sono distanti le culture, tanto più saranno differenti le percezioni e lo spaesamento di fronte ad esse. Lo spaesamento in questione è sintetizzato nel termine culture shock, e fa riferimento all’esperienza di novità ed estraneità che si prova una volta catapultati in una cultura differente da quella a cui si è abituati.

Non sono esenti dal culture shock gli studenti Erasmus, o anche semplicemente fuori sede, e chiunque faccia esperienze prolungate all’estero. “Il primo ricordo che ho dell’Europa è il freddo che mi trasformava l’alito in fumo. – scrive l’attivista sociale italo-ivoriano Aboubakar Soumahoro in Umanità in rivolta edito da Feltrinelli nel 2019 – La sensazione iniziale fu di spaesamento, mi sentivo in una condizione di temporaneità, senza luogo e fuori posto […]. Senza luogo perché avevo lasciato la terra che conoscevo per una che mi era ancora estranea, fuori posto perché ogni giorno qualcuno mi ricordava che non avevo diritto di stare dove ero” (Soumahoro, 2019, p. 17).

Quando si parla di immigrazione, raramente si pensa a cosa debba affrontare psicologicamente l’emigrato, o l’emigrata, una volta arrivato alla sua destinazione ultima. Il percorso dell’integrazione è discusso quasi esclusivamente attraverso la lente della cultura accogliente (dove di accoglienza si può parlare) e dal punto di vista burocratico. Seppure non rappresenti il focus di questo articolo, è comunque doveroso ricordare come le politiche migratorie messe in campo negli anni passati dallo Stato italiano, in un processo definito da Soumahoro “razzializzazione istituzionalizzata”1, siano lo specchio di una narrazione distorta e banalizzante del fenomeno migratorio.

Non mancano certo iniziative lodevoli di singole associazioni, ma anche esse si rivolgono quasi esclusivamente all’emigrato o emigrante. La comunità di destinazione non è minimamente coinvolta nel processo di interscambio culturale che dovrebbe prendere piede. Non ha la possibilità di mettere in discussione la propria cultura, le proprie consuetudini, in relazione con quelle dell’emigrato. Ciò che non avviene è, in parole povere, la ri-negoziazione delle verità. Eppure, che si sia capaci di percepirlo o meno, la convivenza di più culture è già, indipendentemente dalle dinamiche specifiche, a tutti gli effetti una cultura. Tanto è vero che con la globalizzazione si è iniziato a discutere di una “cultura globale”.

Come detto in apertura di questo articolo, i modelli di produzione della cultura nel mondo occidentale sono in crisi. L’indebolimento delle relazioni sociali e lo svuotamento dei significati operato negli ultimi secoli, ha fatto sì che oggi risulti quasi impossibile negoziare una qualsivoglia forma di cultura. Sapendo di ripetermi, ribadisco come l’assorbimento acritico e l’assoluto rigetto siano le reazioni prevalenti di fronte alla diversità. Nonostante ciò ritengo importante aggiungere che esse non sono le uniche strade percorribili.

Nella fattispecie, è da notare come dalle due reazioni precedentemente descritte emerga un vero e proprio rigetto della diversità e in questa operazione di negazione della diversità si nasconde un’ulteriore negazione, ancora più significativa. La negazione dello spaesamento di fronte alla diversità. La negazione, o il rifiuto inconscio, dell’esperienza dello shock culturale.

Per rinegoziare davvero la verità, una comunità dovrebbe invece riconoscere lo spaesamento. Esso si manifesta infatti anche in assenza di una coscienza attiva della propria cultura da parte dei singoli individui, cosa che richiederebbe loro un’astrazione della propria esperienza. Riconosciuto lo spaesamento, si può quindi procedere a riconoscere la diversità e ad analizzarla in maniera critica. La comunità e la sua cultura, in questa concezione, sono viste come realtà dialettiche interdipendenti, ogni volta che cambiano gli equilibri delle conoscenze e delle pratiche dei singoli componenti, si presenta la necessità di operare una nuova sintetesi della cultura.

Nel caso dell’immigrazione, l’apporto di nuove informazioni e di diversità all’interno della comunità è molto elevato, e così risulta essere di conseguenza lo spaesamento. L’emigrato è quasi sempre cosciente della propria diversità culturale in relazione con la comunità nella quale si trova catapultato, è colui che vive l’esperienza di spaesamento più intensa. Come sinonimo di spaesamento si potrebbe utilizzare, in questo caso specifico, il termine disequilibrio. L’emigrato possiede una cultura che è, almeno parzialmente, inadatta al nuovo contesto di riferimento. La forza delle sue conoscenze e attitudini culturali è resa inutile dai sistemi sociali e istituzionali.

Quando la comunità di destinazione e l’emigrato non sono in grado di sintetizzare una nuova cultura condivisa e inclusiva, alla condizione di emigrato non potrà che aggiungersi quella di emarginato. Le variabili e le forze in campo sono decisamente numerose e complesse da definire, è da notare però come alla base dell’integrazione si trovi la costruzione di relazioni significative. Questo è l’ostacolo, e allo stesso tempo la chiave, della negoziazione di una cultura condivisa. La sfida dell’integrazione è dunque una sfida comunicativa? Sì, ma è molto più articolata di quanto potrebbe apparire.

McLuhan prima e Postman immmediatamente a seguire ci suggeriscono questo: non solo la cultura, ma l’individuo stesso è influenzato dalla struttura dell’informazione alla quale è assuefatto. Il tipo di medium che prevale in una società, modifica il contenuto dell’informazione e di conseguenza il pensiero, l’espressione, la sensibilità ed infine il tipo di relazioni che si creano tra gli individui. Un esempio riportato da Postman, derivato dagli studi di H. Innis, è quello degli Antichi Egizi: la loro ossessione per il tempo, che ha spinto i Faraoni a ordinare la costruzione delle piramidi come loro luogo di sepoltura, deriva dalla durabilità nel tempo del mezzo tramite quale comunicavano.

Il parametro che viene rimarcato quando si parla di Paesi avanzati e Paesi arretrati, o in via di sviluppo, è quello della presenza di tecnologia: dalle infrastrutture ai mezzi di informazione. Ma ci si dimentica come l’ambiente plasmi la società e la cultura. Lo shock tecnologico è shock culturale. L’utilizzo di una tecnologia non si limita solo al compimento di un’azione e al raggiungimento di un obiettivo tramite essa, comprende infatti, e aggiungerei soprattutto, l’interpretazione del mondo attraverso quella stessa tecnologia.

Nel momento in cui si tiene in mano un bastone il mondo diviene bastonabile, il terreno scalfibile, il fuoco trasportabile, si crea una gerarchia tra chi possiede e sa utilizzare un bastone e chi no. Il potere non dipende più dalle qualità intrinseche dell’individuo ma può essere conquistato per mezzo del bastone. Ma soprattutto nell’inconscio del soggetto si trasforma, per non dire addirittura nasce, l’idea di gerarchia, di cui il bastone è mezzo e metafora. E così accade, in maniere e modi più complessi o meno espliciti, con ogni tipo di tecnologia.

Le differenze tecnologiche comportano differenze culturali e comunicative perché l’ambiente tecnologico, allo stesso tempo portatore e comunicatore di un significato, plasma l’idea, il pensiero, dell’individuo e delle società presenti in quello stesso ambiente. E proprio come il Socrate di Platone si lamentava del fatto che ad un testo scritto non si potesse intimare un chiarimento, non si può negare come la forma, e non il contenuto, del discorso tenda a plasmare di più la mente di chi lo legge.

La creazione di relazioni significative, nell’ottica dello sviluppo della cultura condivisa sopra citata, non può che partire dal riconoscimento delle differenze di vissuto tecnologico, o meglio dal riconoscimento dei differenti significati attribuiti ai fenomeni sociali. Ma questa è solo la punta dell’iceberg del processo di integrazione. Tutto ciò potrebbe infatti risultare realizzabile se la cultura del luogo in cui questo processo deve avvenire non fosse fondata su preconcetti razzisti, come è invece quella europea nel caso specifico.

In Italia emigrato e indigeno condividono l’esperienza della categorizzazione, seppur con prospettive e ruoli opposti. Questa esperienza è alla base della cultura Europea, e vede coinvolti tutti indistintamente. Sulla base di quanto proposto nell’articolo, questa cultura della marginalizzazione dovrebbe poter entrare in contatto con una cultura dell’accoglienza e dell’integrazione, al fine di riuscire a sperimentare e riconoscere lo spaesamento nel confronto con essa e rinegoziare la verità.

C’è da riflettere, soprattutto, circa quanto siano inadatte le nostre infrastrutture dell’informazione, le nostre istituzioni, la nostra stessa cultura in un mondo in cui lo scambio interculturale e le migrazioni aumenteranno sempre di più a causa dei cambiamenti climatici, delle guerre e dell’instabilità economica e sociale.

-Mattia Quinto

NOTE

1 Per un approfondimento sul termine e sul fenomeno vedi: (Soumahoro, 2019, p. 31-44)

FONTI

INDICATORI DEMOGRAFICI | ANNO 2020. (2021, May 3). Istat. Retrieved May 26, 2022, from https://www.istat.it/it/files//2021/05/REPORT_INDICATORI-DEMOGRAFICI-2020.pdf

Popolazione residente e dinamica demografica. Anno 2020. (2021, December 9). Istat. Retrieved May 26, 2022, from https://www.istat.it/it/files//2021/12/CENSIMENTO-E-DINAMICA-DEMOGRAFICA-2020.pdf

Postman, N. (2006). Amusing Ourselves to Death: Public Discourse in the Age of Show Business. Penguin Publishing Group.

Postman, N. (2019). Ecologia dei media: La scuola come contropotere (G. Gamaleri, Ed.). Armando Editore.

Report Indicatori Demografici_2021. (2022, April 8). Istat. Retrieved May 26, 2022, from https://www.istat.it/it/files//2022/04/Report-Indicatori-Demografici_2021.pdf

Soumahoro, A. (2019). Umanità in rivolta: la nostra lotta per il lavoro e il diritto alla felicità. Feltrinelli.

Statistiche sulla migrazione verso l’Europa | Commissione europea. (n.d.). European Commission. Retrieved May 26, 2022, from https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/promoting-our-european-way-life/statistics-migration-europe_it#occupazione-degli-immigratiTejedor, S., Cervi, L., Pérez-Escoda, A., & Tusa, F. (2020, October). Smartphone usage among students during COVID-19 pandemic in Spain, Italy and Ecuador. Association for Computing Machinery. https://doi.org/10.1145/3434780.3436587

Rispondi