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Le ambizioni più grandi di noi
Anche troppe volte, nella nostra vita, ci siamo sentiti dire che non era possibile, non c’è l’avremmo mai fatta. “Non è il tuo destino!” Eppure, eccoci qua con un sogno più grande di noi!
Siamo a Cortina, fine stagione invernale, quando viene tenuto un Campus Paraolimpico, nel quale ragazzi e ragazze portatrici di varie disabilità, possono approcciarsi a vari sport invernali seguiti da maestri specializzati.
“Il primo giorno di Campus mi sentivo euforica” dice la maestra, poi continuando: “Sarebbe stato il mio primo Campus Paraolimpico e non vedevo l’ora di poter dare tutta me stessa per aiutare qualcuno a spiegare le ali in un mondo, in cui queste persone non vengono riconosciute”. Di fatto, il riconoscimento di pratiche sportive per persone portatrici di disabilità è un po’ un tabù; ci sono molte sfumature, forse, troppi colori.
Le controversie sono all’ordine del giorno e le persone hanno paura di parlare, prendere posizione, forse per pietismo ingiustificato, oppure anche solo per insicurezza.
In questo modo, lo sport per persone disabili viene riconosciuto e accettato solamente se queste ultime portano risultati, non importa quale e a che livello sia la disabilità. Importano solamente i risultati, ma se questi non arrivano, perché darsi una possibilità? Se si sa che non si può arrivare in alto, perché darsi la pena di provarci?
Molti di questi ragazzini si sentono dire che è impossibile, che persone come LORO non possono praticare certi sport e, se proprio lo vogliono fare, allora devono fare i salti mortali per poterli praticare, ma sempre in spazi diversi rispetto a quelli dei “normodotati” (come se dovessero nascondersi!).
Ma perché dovrebbero? Perché, se ci sono le possibilità e le tecniche, devono comunque essere trattati in modo differente? Non possono avere delle ambizioni, anche se queste possono sembrare più grandi di loro?
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