UNA VITA DA CAMALEONTE

La storia del camaleonte inizia in una valle altoatesina trilingue,
valle che dà grande valore alla cultura, allo sport, al lavoro, al turismo, alla natura e alla sua preziosa madrelingua ladina.
Chi cresce qui, è convinto che il mondo in cui vive sia del tutto normale – finché esce dalla bolla.

Al liceo, infatti, io – il camaleonte – ho visto e vissuto una prima separazione, ovvero una discriminazione, sia nella lingua, che nell’accento, negli stereotipi, e anche parzialmente nelle mentalità; e mi sono resa conto di appartenere a una minoranza – in una minoranza.
Ad essere sincera, il fatto di tornare a casa ogni giorno, facendo da pendolare, mi ha probabilmente resa più resistente a certi commenti e mi ha salvato dalle tipiche crisi mentali di un adolescente. A casa mi hanno sempre dato la sicurezza, il sostegno e l’appoggio di cui avevo tanto bisogno.
All’inizio percepivo questi commenti in modo negativo, mi facevano arrabbiare, come se dovessi giustificarmi o difendermi per la mia cultura; poi ho iniziato a ridere con loro – e tutto è cambiato.
È così che è cominciata la socializzazione altoatesina. Ovviamente il mio forte accento mi smascherava, però col tempo anche questo aspetto è migliorato.

D’estate lavoravo al supermercato e incontravo quotidianamente persone provenienti da tutto il mondo.
Così è nata quella fantastica capacità di alternare lingue in pochissimo tempo. Mi divertivo molto a sintonizzarmi agli altri e a parlare la lingua che preferivano loro e in cui si sentivano a proprio agio.
Ecco come ho conosciuto meglio la lingua e la cultura italiana.
Un’abilità molto particolare era tale, che potevo, ad un certo punto, scegliere, se applicare la “r” italiana o quella gardenese/tedesca; ciò significava anche decidere se volevo essere immediatamente riconosciuta come “la tedesca” o meno.

L’essere camaleonte non significa solo adattarsi a qualcuno attraverso le lingue – cosa che a me e a molti altri delle mie parti è sempre venuta naturale.
È il modo di approcciare la gente, di essere curiosi di chi si ha davanti, di quali sono le loro passioni, le loro storie, i loro valori e i loro pensieri.
È quella la parte più bella e affascinante dell’essere camaleonte: immergersi negli argomenti più diversi, conoscere gli altri, ascoltarli e farli stare bene. Il linguaggio, in fondo, ne è “solo” la chiave.

Purtroppo, con il passare del tempo mi sono sorti dei dubbi, soprattutto per quanto riguarda l’identità.
Ho conosciuto così tanti modi di vivere e di pensare, che non sapevo più a quali aggrapparmi io stessa.
Poi mi sono ritrovata a casa, nel bosco dietro il ruscello, sul mio amato sentiero che percorrevo spesso da bambina. E lì, in mezzo alla natura, nel verde e in perfetta serenità, era stato piantato un seme. E la gente del posto che passava, con la loro purezza e semplicità, col cuore enorme e buono, lo innaffiava.
Proprio lì, nel mio paesino, sulla soglia di casa, davanti ai miei occhi – come nell’”Alchimista” di Paolo Coelho – ho ritrovato stabilità e passione.

Per non perdersi in un mare ricco di colori,
il camaleonte non deve mai dimenticare i suoi veri pigmenti.

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