Il mondo secondo Garp

Attenzione, questo articolo contiene spoiler.

Se prima ero confusa riguardo al femminismo, dopo aver visto “Il mondo secondo Garp”, credo di esserlo ancora di più.

Il film racconta la storia di Garp, dalla sua nascita fino alla sua presunta morte. Garp è figlio di un’infermiera decisamente emancipata, che sfrutta lo stato di un soldato moribondo, mitragliere e aviatore durante la Seconda guerra mondiale, per avere a tutti i costi un figlio senza bisogno di sposarsi. Garp cresce quindi senza padre, ma in compenso ha una madre che fa per tutti e due. Trascorre la sua infanzia, adolescenza e gioventù in un college, in cui la madre fa appunto l’infermiera. In quegli anni, Garp si confronta con diverse figure femminili e maschili, fa le sue prime esperienze – sessuali e non –, mentre cresce tra l’idealizzazione del padre e una madre che vorrebbe salvarlo dal peccato di “lussuria” che colpisce tutti gli uomini. Nonostante ciò, Garp riesce a sfuggire e in qualche modo a liberarsi dai voleri della madre e a fare le sue esperienze.
Garp, infatti, capisce di voler intraprendere la carriera dello scrittore e inizia a scrivere i suoi primi racconti, che farà leggere ad Helen, ragazza che conoscerà al college e che diventerà poi sua moglie. Per diventare scrittore, Garp e la madre si trasferiscono a New York, in cui anche Jenny – la madre – si cimenta nella passione del figlio e, a suo discapito, il libro di lei avrà un successo straordinario. A causa di questo libro – Sexual Suspect – Jenny diventa una figura di riferimento per le femministe di allora e contemporaneamente molto controversa, tanto che cercheranno di ucciderla ad un convegno politico pubblico.
Garp si sposerà poi con Helen, pubblicherà i suoi primi romanzi e farà il padre a tempo pieno, mentre Helen diventerà professoressa. Insieme avranno due figli e durante i periodi di vacanza, la famiglia di Garp andrà spesso a trovare la nonna Jenny, che, nel frattempo, ha creato nella casa dei suoi genitori una “casa di cura” per donne. Queste sono donne traumatizzate o che hanno bisogno di un posto dove stare, come, per esempio, donne violentate, stuprate e transessuali. Tra queste c’è anche un gruppo di donne che si sono fatte tagliare la lingua in segno di protesta e a sostegno di una ragazza che era stata stuprata e a cui era stata tagliata la lingua per non denunciare l’accaduto.
La vita apparentemente felice di Garp ed Helen comincia però ad incrinarsi: dopo che Garp tradirà la moglie con la babysitter dei figli, Helen cederà alle avance di uno dei suoi studenti, il quale diventerà il suo amante. Garp lo scoprirà e la vicenda si concluderà con un incidente fatale per tutti, tanto che Garp ed Helen saranno poi “ricoverati” nella casa di Jenny per elaborare un lutto per entrambi devastante. La rabbia e la sofferenza di Garp è tanta, così come quella di Helen, ma, nonostante ciò, i due riescono a “guarire”, ritrovarsi e ricostruire la famiglia.
Jenny chiude successivamente la sua “casa di cura” per darsi alla politica, scelta che le costerà la vita. Ai suoi funerali – i primi funerali femministi – non saranno accettati uomini, motivo per cui Garp dovrà partecipare sotto copertura e scatenando poi il panico generale.
La conclusione del film è decisamente emblematica: una donna che, io credo per gelosia, tenta di uccidere Garp, che, alla fine, riesce ad esaudire il desiderio più grande che aveva da bambino: volare come il padre.

Riflessione sul film

Gli spunti di riflessione che mi ha dato questo film sono molti e ogni personaggio, secondo me, avrebbe bisogno di un’interpretazione e lettura proprie. Molte sono anche le considerazioni legate al femminismo e credo, innanzitutto, che questo film abbia portato certe questioni legate ad esso all’estremo, in senso che il film mostra come un’idea possa diventare il contrario dell’idea stessa.
La figura, secondo me, emblematica che rappresenta questo “estremo” è quella di Jenny, che per emanciparsi non ha risparmiato nessun uomo accanto a lei, nemmeno il figlio. Lei è in qualche modo l’incarnazione di quel femminismo che ha lottato per l’emancipazione delle donne, ma che è arrivato forse ad un punto in cui tutto è diventato lecito pur di raggiungere la piena realizzazione personale. La domanda che mi sono posta però è la seguente: “è davvero tutto lecito, purché una donna riesca a raggiungere la propria emancipazione?
In questa forma di femminismo – che poi femminismo non è – le donne utilizzano a loro favore quelle stesse dinamiche che il patriarcato mette in atto: per raggiungere la parità, le donne credono infatti di doversi arrangiare e di dover spiccare all’interno di un mondo, le cui leggi sono dettate dagli uomini, diventando meglio di loro. In altre parole, attuando quelle dinamiche patriarcali di potere e dominio su tutti gli altri esseri umani intorno a loro. Vedi Jenny, infatti, quanto potere cerca di esercitare sul figlio, sull’editore, sulle donne che “cura”, insieme alla violenza che ha esercitato sul soldato moribondo.
Questo femminismo “estremo” risulta lampante anche nel momento in cui compaiono nel film il gruppo di donne con la lingua tagliata. Questo gesto rappresenta il contrario dell’idea di femminismo, poiché, invece di utilizzare il potere della protesta per chiedere e rivendicare una soluzione al problema, ne diventa esso stesso la vittima. La protesta messa in atto da queste donne in qualche modo si ritorce contro il femminismo stesso, poiché non permette una forma di dissenso che rimanga aperta al dialogo e che sia volta alla soluzione di quella problematica. Crea in qualche modo un movimento chiuso e fine a sè stesso, che non è in grado quindi di trovare una posizione nel mondo.

In questo film si può inoltre riconoscere il femminismo “anti-uomo”, cioè appunto quella visione dell’uomo come nemico da combattere e causa di tutti i problemi delle donne. Questo atteggiamento è evidente alla fine del film, in cui si celebrano i funerali di Jenny, primi funerali femministi – e l’unico momento in cui la parola “femminismo” viene citata –, in cui agli uomini non è consentito partecipare, nemmeno al figlio. L’ultima scena direi però che è la più esemplare, tanto estrema da far venire i brividi. Questa è una visione del femminismo che esiste e ci sono – purtroppo – femministe che pensano che gli uomini siano la causa di tutto “il male del mondo” contro cui lottare. Questo è inoltre il luogo comune su cui gli uomini stessi, a causa della paura, si appoggiano per criticare il femminismo, senza riuscire ad andare oltre. Questo è un problema che sicuramente non favorisce il dialogo tra i due generi: da una parte c’è chi attacca, dall’altro c’è chi si sente attaccato e questo crea, oltre alla paura, un bisogno di difendersi, creando quindi conflitto, piuttosto che confronto.
Nel film ho visto, inoltre, il femminismo come una sorta di “malattia”: la prima cosa che ho pensato vedendo la casa “di cura” di Jenny è stata: “Queste sono tutte malate”. E questo pensiero mi ha spaventata parecchio, perché la domanda successiva che mi sono posta è stata: “Stiamo andando anche noi in questa direzione, verso un femminismo “malato”?” Con la parola “malato” intendo un femminismo che non si pone in un atteggiamento di autocritica e che, invece di trovare una soluzione alle problematiche presenti, riproduce le dinamiche sociali vigenti, diventandone appunto esso stesso “vittima”, con il rischio di arrivare all’esasperazione.

La figura che mi è piaciuta più di tutte è quella di Garp, un uomo che ben conosce i suoi limiti fin dall’infanzia, partendo dal fatto di non avere un padre. Questo però non lo ferma nel voler scoprire il mondo che gli sta intorno, nonostante una madre che vorrebbe impedirglielo. Il film mostra il percorso di crescita di Garp e delle sue esperienze di vita, emotive e sessuali, e ci fa vedere forse quel lato del femminismo che può esserci in ognuno di noi e che può cresce con noi: quello che passa dalla scoperta in modo consapevole della propria personalità, del proprio corpo, della propria sessualità, delle relazioni che costruiamo con altre persone e delle dinamiche che costituiscono il mondo in cui viviamo. Garp è infatti in grado di vedere in modo critico il mondo che Jenny vorrebbe costruire per lui e di liberarsi dal suo potere; così come riesce a mettere in discussione certe dinamiche – come quella delle donne senza lingua – e a portarle alla luce, problematiche incluse. È allo stesso tempo in grado di fare un ragionamento di autocritica, soprattutto nel momento in cui vuole ricostruire il rapporto perduto con la moglie. E non a caso, secondo me, il personaggio di Garp è uno scrittore: lo scrittore è in grado non solo di leggere e interpretare la realtà in cui vive, ma è anche in grado vedere oltre.
Importante è anche la storia e il rapporto che costruisce con la moglie, della cui storia vediamo l’evoluzione da quando si incontrano la prima volta. È un rapporto che inizialmente insegue l’ideale che forse tutti noi abbiamo riguardo una storia d’amore: l’innamoramento, in cui tutto è perfetto; la casa, il matrimonio, i figli. Insomma, la coppia aveva tutte le carte in regola per avere una vita perfetta, felice e avere una famiglia modello. La vita, però, non è perfetta come pensiamo: ci pone davanti a ostacoli e ci mostra che l’amore in realtà, di ideale, non ha proprio niente.

Durante il film ho trovato inoltre molto interessanti anche tutti i riferimenti alla morte. Essa è un personaggio silenzioso, ma in qualche modo sempre presente. Dal padre di Garp morto in guerra, al nonno, al figlio più piccolo, che morirà per primo nella nuova famiglia di Garp, fino a Jenny. La figura del secondo figlio mi ha colpita in modo particolare: un bambino che, nonostante esprima la sua paura di fronte alla morte, vuole provare la sensazione di “morire” durante un gioco con il padre e il fratello. Onestamente questa cosa mi ha fatto venire i brividi.

Per concludere, questo film mi è piaciuto molto, perché nonostante le tematiche un po’ pesanti e le riflessioni che ne emergono, è di piacevole visione.
Trovandomi in un percorso di scoperta del femminismo, ho trovato il film sicuramente molto interessante da questo punto di vista e l’ho trovato anche molto attuale. Le considerazioni riportate qui di sopra ne sono infatti un esempio e, secondo me, potrebbero essere tutti spunti da cui potremmo partire e su cui potremmo riflettere molto. E viste queste premesse, non so se questo sia un bene o un male.

Camilla Ferello

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