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Ce la farete venire voi, la crisi di nervi!
Se è vero che la televisione è lo specchio della società, direi che il nuovo programma di Piero Chiambretti “Donne sull’orlo di una crisi di nervi”, la cui prima puntata è andata in onda martedì sera, dimostra che l’Italia è un Paese con ancora tantissima strada da fare.
Bisogna innanzitutto premettere, che lo scopo del programma condotto da Chiambretti è in primo luogo quello di essere ironico. “Donne sull’orlo di una crisi di nervi” nasce, infatti, per essere un comic show e Chiambretti si sa essere un personaggio televisivo iconico per questo tipo di programmi e a cui la controversia piace parecchio.
Secondo le dichiarazioni rilasciate a Repubblica, con questo programma Chiambretti vuole rispondere alla domanda: “le donne sono davvero in crisi?” (domanda che, secondo me, dovremmo iniziare a porci per davvero, anche se la formulerei in maniera completamente diversa). Alla domanda se il nuovo programma parli all’universo femminile o cerchi di comprenderlo, Chiambretti risponde voler fare entrambe le cose, non vuole tuttavia essere provocatorio, bensì fare “servizio pubblico” e offrire “un po’ di evasione”.
A partire da questa dichiarazione, posso dire che, a mio parere, questo programma non è riuscito nell’intento. In primo luogo, perché, mi dispiace Piero, ma solo il fatto che un uomo pretenda di spiegare alle donne perché sono in crisi, non sta in piedi. Perché una persona socializzata come uomo, in un corpo di uomo, non potra MAI capire al 100% il mondo delle donne (così come è vero il contrario). Questo programma, infatti, non mi ha detto nulla in quanto donna, non mi sono sentita parte di quell’”universo femminile” a cui lui ha cercato di parlare e di comprendere. Anzi, mi fa preoccupare come il servizio pubblico continui ad usare le donne come strumento per tenere le persone attaccate alla televisione, che utilizzi la loro condizione, oggi a mio parere fortemente in crisi, come escamotage per riportare sotto i riflettori una figura – maschile – nota ed importante all’interno della rete nazionale. Infatti, la figura che spicca in questo programma non è sicuramente la donna, ma Chiambretti stesso. Le donne vengono messe ancora una volta in secondo piano e ancora una volta è un uomo che si permette di dirci come e chi dobbiamo essere. Non voglio insinuare che Chiambretti abbia pensato a questo programma volontariamente in questo senso, anzi, magari aveva le migliori intenzioni. Tuttavia, forse inconsapevolmente, o forse no, è l’ultimo dei tanti esempi di come il sistema mediatico faccia uso a proprio piacimento della condizione e della figura della donna. Sistema, che continua ad essere governato da politiche patriarcali e capitaliste, e non al benessere dei consumatori. E mi preoccupa che questo bisogno di evasione, tanto osannata in questo periodo storico del “non si può più dire niente”, venga portata a discapito della rappresentazione di un gruppo sociale di cui, caro Chiambretti, non hai capito niente. Perché non è vero che oggi non si può più fare ironia, non si può più ridere. Ma per parlare di e a un certo gruppo di persone, non basta invitare delle persone che si dicono rappresentati di quel gruppo. Bisogna invece provare prima a capirlo davvero. Capire l’ “Altro” è faticoso, perché significa mettere in discussione le proprie convinzioni, il proprio modo di pensare e di vedere il mondo. Il rischio più grande che si può correre – come in questo caso -, se non si affronta questo processo di comprensione, è di dare un’immagine completamente distorta e falsa di quel gruppo. In altre parole, non è detto che le donne in studio fossero rappresentative di tutte le donne italiane, solo perché di sesso femminile. A queste donne bisognava dare lo spazio per far sentire la propria voce, altrimenti sono solo marionette che semplicemente devono seguire uno schema a loro imposto, battute da recitare, interventi superficiali. Ma non è così che dovrebbe funzionare. Ribadisco che, se si vuole provare a fare ironia sul mondo femminile, bisogna prima capirle, le donne, o almeno provarci. E questo programma, purtroppo, dimostra che la società italiana, delle donne, non ha capito proprio niente.
Già il titolo del programma suona davvero male: perché siamo sempre noi donne a dover avere crisi di nervi? Lo ribadisco, sono d’accordo sul il fatto che la figura della donna oggi sia fortemente in crisi, ma che sia sull’orlo della crisi di nervi mi sembra un po’ troppo. Anche perché, domanda a mio parere lecita, da cosa sarebbe causata questa crisi di nervi esattamente? Peccato che non lo sapremo mai, perché il programma non ha dato alcuna spiegazione a riguardo. E se proprio vogliamo dirla tutta, siamo sempre noi quella viste come nevrotiche e frustrate. La cosa divertente, però, è che al tempo stesso, la società ci impone di non esserlo: non dobbiamo mai mostrarci arrabbiate, dobbiamo invece essere sempre carine, coccolose e amorevoli. Il nostro essere donna passa prima di tutto per il nostro essere tranquille, posate, rispettose e queste “crisi” le dobbiamo tenere per noi. Mica possiamo mostrarci con i nervi fuori posto, sia mai! Le donne sono costrette dalla società a reprimere tutta la rabbia e tutta l’energia che questa porta con sé. Gli uomini hanno il diritto di mostrarla, molto spesso attraverso la violenza, le donne invece no. Per forza poi veniamo prese come “sull’orlo di una crisi di nervi”: perché quell’energia da qualche parte la dobbiamo incanalare e quella rabbia la dobbiamo esprimere. Un titolo del genere, perciò, o è il monito di un programma fatto come si deve, che cerca di capire davvero questa crisi, pur ironizzandola, oppure vuole rimettere le donne al loro posto, ridicolizzandole. E ho il serio timore che questo programma abbia intrapreso la seconda strada.
Ma andiamo con ordine.
Parto da un altro presupposto, e cioè che non sono riuscita a resistere più di un’ora a guardare il programma, per cui non l’ho visto fino alla fine (anche se credo di aver resistito fin troppo). Partiamo dal video introduttivo, che aveva proprio l’intento di spiegare perché queste donne sarebbero sull’orlo di una crisi di nervi. La domanda di apertura del video fa già pensare e capire il livello di problematicità di questo programma: “le donne conquisteranno il mondo o lo hanno già conquistato e non ce ne siamo accorti?”. Allora, chi ha mai detto che le donne vogliono conquistare il mondo, esattamente? Io non credo che questa sia la nostra aspirazione esistenziale, inoltre porre il concetto di “conquista” in termini implicitamente violenti credo sia assolutamente inopportuno. Non posso parlare a nome di tutto il genere femminile, ma io credo che la maggior parte di noi sarà d’accordo nel dire che non abbiamo nessuna intenzione di assoggettare nessuno. Questa tuttavia è la retorica con cui dobbiamo confrontarci oggi e cioè quella del “conflitto”. E’ dagli anni ’90 che la retorica della “guerra dei sessi” vince su qualsiasi altro discorso riguardante le relazioni tra generi. Questo, inoltre, porta a non poche conseguenze, di cui parleremo successivamente. Credo che molte di noi non siano più rappresentate da questo tipo di retorica che ci vuole sempre in conflitto con il sesso opposto. I tempi sono cambiati, le donne sono cambiate e questo tipo di visione sta iniziando a sgretolarsi, ma evidentemente il messaggio non è stato recepito. Quello che vorremmo, se ci è concesso, sarebbe in realtà un minimo di rispetto, per esempio. Essere trattate non come schizzate o nevrotiche, ma come esseri umani.
Il video continua dicendo che la donna contemporanea è “intuitiva” – qui il video mostra una madre tranquillissima che lavora con un figlio in braccio e l’altra figlia accanto –, “accudente”, con un primo piano sul seno di una donna che allatta il proprio bimbo; “pronta al cambiamento” – di quale cambiamento si parli, non è dato sapere. Insomma, cosa ci stanno dicendo tra le righe? Che per essere delle buone donne o, meglio, donne contemporanee, dobbiamo continuare a fare figli, stare a casa ad accudirli, ma al contempo essere presenti in tutto e per tutto. Volete che ve lo dica in altre parole? Ci vogliono zitte e buone nelle nostre case, vogliono che non disturbiamo troppo, ma che stiamo sempre al passo con i tempi. Delle buone madri e delle brave lavoratrici. Peccato che, oggi, le donne continuano ad essere fortemente discriminate o svantaggiate sul piano lavorativo e ad avere la maggior parte del carico di lavoro domestico.
Il video continua e arriva a dire che la donna di oggi è in grado di “dominare la storia senza perdere la propria femminilità”, mostrando una Lady D principesca e dal volto sorridente. Successivamente il video afferma che, secondo la classifica delle donne più influenti del 2023 stilata dal Financial Times, queste donne dominano in ambiti prettamente maschili. Gli aspetti da considerare qui sono principalmente due: il primo è che, se ricopri una carica molto alta e influente, devi stare attenta a non perdere la tua femminilità e questo perché il potere è chiaramente una prerogativa maschile, per cui non bisogna assolutamente rischiare di “mascolinizzarsi”. Il secondo è che c’è una visione del lavoro che è ancora sessualmente diviso: ci sono lavori da uomo e lavori da donna e risulta incredibile che le donne possano essere meglio degli uomini in quelli che vengono definiti i loro ambiti. Il problema di fondo di questi due aspetti è l’idea che le donne siano meno capaci e credibili degli uomini. Le donne non vengono prese in considerazione prima di tutto come soggetti indipendenti, che hanno sogni, aspirazioni, desideri. Il nostro essere donna deve sempre essere messo a confronto con un mondo dominato dal maschile, che è chiaramente più capace ed intelligente. Se una di noi arriva ai piani alti è sicuramente un’eccezione alla regola. E se una di noi ha successo, vuol dire rischiare di rinunciare alla propria femminilità, al proprio essere donna. Essere femminile, tuttavia, non ha nulla a che vedere con il ricoprire un ruolo prestigioso, così come è vero il contrario.
Il video cerca poi di tirarci su il morale dicendoci che comunque le nostre lotte le abbiamo vinte, che dovremmo essere contente visto che la quota delle donne nei parlamenti internazionali è raddoppiata negli ultimi trent’anni e che oggi ci sono ben 27 donne che ricoprono la carica di capo di Stato o di governo in tutto il mondo. E la cosa che dovrebbe riempirci di orgoglio, è che una di queste è proprio in Italia! E non siamo contente? Non era quello che volevamo, in fondo?
Per tutti questi successi qui sopra elencati, però, c’è un “prezzo da pagare”: la crisi di nervi. Praticamente ci stanno dicendo che non siamo abbastanza per raggiungere i nostri obiettivi e che dobbiamo essere prima di tutto delle schizzate per poter ottenere ciò che vogliamo. E quindi la domanda implicita: vale davvero la pena battersi per i propri sogni e le proprie aspirazioni, se siamo condannate ad avere crisi di nervi? Non credo ci vogliano i sottotitoli della pagina 777 del televideo per capire cosa ci stanno dicendo: fate le brave, state buone e non rompete troppo le scatole, che ci sono già altre donne che ci stanno pensando per voi. Le loro vittorie sono anche le vostre (cosa non necessariamente vera, vedi la Meloni al governo). Avere successo vorrebbe inoltre dire entrare nella gabbia del leone, quella degli uomini e non è il caso. Perché le donne mostrate precedentemente sono eccezioni, sono donne che apparentemente hanno rischiato di rinunciare a qualcosa pur di far avverare i propri sogni. Siete davvero disposte a rinunciare a voi stesse per questo? Forse è meglio che stiate a casa a fare le donne “vere”.
Peccato che la nostra aspirazione, caro Chiambretti e cara Rai, non è quella di diventare tutte cape di Stato o di grandi aziende, così come non è quella di dimostrare che siamo migliori di altri o di altre. E non è neanche dover sacrificare delle parti di noi per ottenere ciò che vogliamo. Credo che le nostre ambizioni vadano ben al di là di tutto questo.
Già dopo questo video avrei probabilmente dovuto spegnere il computer, ma la curiosità è stata molto più forte dell’indignazione. Ho sperato che gli e le ospiti in studio dessero un minimo di spessore al programma e invece ne sono rimasta estremamente delusa. Sono rimasta delusa perché speravo che, soprattutto le donne, fossero figure con qualcosa da dire. Speravo che fossero lì per arricchire il programma, anche in senso ironico, ma non per svilirlo ancora di più. Speravo che loro potessero in qualche modo far sì che il programma parlasse davvero alle donne italiane di oggi, che mostrasse dei modelli di donne che stanno davvero provando a dare una visione della donna diversa, in cambiamento. Lo spazio che a loro viene dato è stato a dir poco insignificante, con interventi davvero superficiali. Come si può pretendere di capire le donne se non possono parlare? Inoltre, la comicità che il programma ha voluto portare è stata, a mio avviso, una comicità subdola, basata su stereotipi, che va ad intaccare negativamente la figura femminile, piuttosto che renderla comica. Anzi, mi correggo, l’ha resa a dir poco grottesca. Le donne sono stanche, credo io, di essere trattate per stereotipi. Io mi sono sentita svilita di fronte a quelle che erano in studio, perché la loro voce, le loro idee, io non le ho sentite. Sono state messe lì in quanto di sesso femminile, per far sì che non ci potessimo lamentare che in un programma che parla di donne, queste non ci fossero. È venuta però a mancare totalmente la loro soggettività: il loro essere lì è stato un atto di presenza, ma non di partecipazione.
Tutto questo è stato ecclatante nell’intervista a Sofia Goggia, che non mi soffermerò ad analizzare per intero, ma solo alcuni aspetti. Chiambretti ha parlato praticamente quasi tutto il tempo, continuava ad interromperla e lei non è riuscita a fare un discorso più lungo di due frasi. In questa dinamica ho riscontrato davvero pochissimo rispetto nei confronti di Sofia, del lavoro e del percorso che lei ha deciso di intraprendere. Mi è sembrata davvero un’intervista svilente, che ancora una volta mostrasse quanto fosse assurdo che una donna potesse essere così forte. Poi è successa una cosa che, fossi stata in Sofia, mi sarei alzata e me ne sarei andata. Ad un certo punto si è iniziato a parlare delle fantasie sessuali di donne e uomini e, in particolare, del fatto che le donne tenderebbero ad averne maggiormente, ma che non necessariamente ne parlino o le dimostrino. Chiambretti ha avuto la brillante idea di chiedere a Sofia se lei avesse fantasie sessuali, così, come se fosse una domanda qualunque. Come se lei dicesse di fronte milioni di telespettatori se lei abbia fantasie sessuali e quali siano. Sono davvero queste le cose che vuoi farti sentire dire da una donna?
Dopo questa ennesima sceneggiata mi sono finalmente decisa a spegnere il computer.
Morale della favola: siamo messe male, molto male. Come scrivevo all’inizio, non è possibile che il servizio pubblico nazionale mandi in onda programmi del genere. Questo non è un programma che ascolta le donne e cerca di comprenderle, perché la loro voce è praticamente inesistente. C’è Piero Chiambretti, lui è il protagonista. E le donne in studio, come già precedentemente affermato, sono lì solo perché di sesso femminile, ma non perché abbiano realmente qualcosa da dire (non che gliene venga dato modo). Ancora una volta, un uomo fa uso delle esperienze, della sensibilità e soggettività femminile a proprio piacimento. Siamo parte di un sistema di comunicazione mass mediatica che ci svilisce, che ci dà il contentino per stare zitte, non criticare lo status quo e che non ci porta il minimo rispetto. In quanto donna mi sento presa in giro, non mi sento rispettata prima di tutto nella mia dignità e integrità di persona e mi rattrista che ci sia un’élite di persone che cerchi di mostrare a tutta una società come sono e dovrebbero essere le donne italiane oggi. Il sistema mediatico italiano, inoltre, continua a fomentare il conflitto tra i sessi, anziché la cooperazione. Il conflitto rimane la base delle relazioni uomo-donna, in cui gli uomini sono sempre un gradino sopra le donne, ma che devono anche guardarsi e difendersi dal loro desiderio e diritto di emancipazione. Le donne, d’altro canto, devono sempre dimostrare di essere meglio degli uomini, in una sorta di gara sociale al “sono meglio io”. Io credo però che i tempi stiano cominciando a cambiare, che sia donne che uomini stiano diventando un po’ più consapevoli dei loro ruoli sociali, del potere che ognuno di noi può avere sull’altro e che relazioni basate sul rispetto e collaborazione tra i sessi siano possibili. Tuttavia, lo abbiamo visto anche con l’ultima trovata del governo sull’aborto, chi sta in alto non ha nessuna intenzione di permetterlo.
– Camilla Ferello
Risposta
Un gran bel pezzo di tesi, non c’è che dire… ovviamente ci sono millemila correzioni da fare per farle raggiungere il Colombi’s Golden Standard, ma non temere, sudandoci sopra millemila+ ore, ce la faremo (e fidati che saranno più problemi miei che tuoi, perchè il delirio linguistico ormai avviato non risparmia nessuno, e ci vuole un disturbato come me per mettercisi davvero). Un esempio a caso, giusto perché tu non abbia a roderti inutilmente nel dubbio, e visto che serve a tutti, servirebbe anche a molti accademici, non solo a qualche tuo collega che si trovi casualmente a dare un occhio ai commenti…
“Secondo le sue dichiarazioni lasciate a Repubblica, Chiambretti”… Lo vedi, no dico, lo vedi o non lo vedi, perchè se non lo vedi vuol dire che ti faccio rifare l’esame, delle medie (per esser clemente) :o)
p.s.
BTW: il GIF
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